
(Racconto in appuntamenti seriali – questo è il quarto ed ultimo)
È più di un anno che Zelda è entrata nella mia vita e benedico quel giorno di temporale per avermi dato la tregua necessaria per salire su quello sterrato a conoscerla. Che se il fato si fosse messo di mezzo forse avrei dimenticato quell’annuncio di adozione o forse qualcuno l’avrebbe portata via al posto mio ed avrei perso una benedizione.
A volte, quando la vedo sprofondata nella sua cuccia o sul divano, le canto le canzoni che le cantavo in gabbia e mi sembra che davvero le piacciano tanto da farla rilassare. La vedo addormentarsi serena ma sempre vigile, in quella tensione alternata che è la sua stessa essenza. Dolce ma feroce, sottomessa ma dominante, piccola ma possente. Quando passeggiamo nel verde, vederla agitarsi supina sul manto erboso, menando calci all’aria mi riporta alla mente la lotta con il proprio angelo custode di Flannery O’Connor.

La scrittrice cristiana racconta nei suoi diari di bambina di come lottava senza esclusione di colpi con l’angelo custode che la opprimeva con la sua presenza. Così, con un invisibile angelo o super io, ecco che Zelda menava calci in qua e in là, ruotando il bacino da destra a sinistra, curiosamente ricordando la sagoma che lasciano i bambini sulla neve quando disegnano col corpo proprio un angelo.
Zelda lotta ogni giorno contro un invisibile angelo custode che la vorrebbe una cagnolina docile e timorata mentre lei ha tutta la grinta di un pitbull in miniatura. Il MIO pitbull in miniatura.