Mi chiamo Mira, Mira Bene.

Mi chiamo Mira, Mira Bene. Non Pene come qualche troglodita compagno di scuola era solito esordire, “Pene, ahhahah ho capito bene?” Adoro i film di James Bond, penso alla sua presentazione ogni volta che dico il mio nome, non so, mi sembra altrettanto di impatto.

Mira è diminutivo di Palmira, in ricordo di mio nonno che appena mia madre disse che era incinta alzò gli occhi dal giornale da dietro un paio di lenti bifocali e indicandole la pancia con il giornale ripiegato “Femmina, ti dico io che è una femmina!” Questo ben prima che ogni esame, sintomo o ecografia potesse dare anche il benché minimo indizio in merito: nonno Palmiro sapeva già. Se ne andò poco prima della mia nascita, quasi lasciandomi il posto su questa terra e forse anche il nome, che mia madre decise senza battere ciglio, quasi a voler tributare il nonno.

È strano portare il nome di qualcuno che non hai mai conosciuto, un po’ come svegliarsi con un tatuaggio che non ricordi di esserti fatta, è parte di te ed estraneo allo stesso tempo. E questo in effetti mi è successo davvero. Ho pensato anche di andare in analisi per fare i conti con la mancanza di nonno Palmiro (ma anche da un tatuatore per coprire quel brutto tribale di passaggio). Mi rispondo sempre che non ho abbastanza tempo né soldi, in entrambi i casi.

Scelgo Mira perché un diminutivo è un valore aggiunto, vuol dire che hai un nome che puoi accorciare, non tutti lo possono vantare, pensa a chi si chiama Ugo o Lia per esempio (se obiettaste che Ugo possa essere il diminutivo di Ugolino e Lia quello di Rosalia avreste comunque tutta la mia ammirazione). Quando mi presento a qualcuno che vuole fare lo splendido e mi dice “Mira, come l’attrice Mira Sorvino?” io rispondo secca “No, come mio nonno Palmiro” lasciando l’interlocutore perplesso. Sono anni che Mira Sorvino non fa più film e non mi sento rappresentata da una bionda attrice italoamericana che forse lavora per nepotismo, figlia di Paul Sorvino, a sua volta attore italo-americano specializzato in ruoli di (indovina un po’?) italo-americani pizzaioli o mafiosi o di Broccolino. Che diavolo avremmo in comune?

Forse avrete l’impressione che io non sia un tipo facile con cui interagire, diciamo che ho il mio carattere e sono alla continua ricerca di me stessa. Se fossimo stati negli anni ’70 mi sarei già imbarcata per l’India sulla via dell’illuminazione mistica ma sono i .20 e l’unico viaggio di rivelazione che ho intrapreso finora si è rivelato una colossale fregatura, la truffa mediatica del “Camino” di Celso, in cui sono cascata “con tutte le scarpe”, attrezzatura da pellegrino compresa.

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