
Quando mi è arrivato tra le mani Il corpo non dimentica di Violetta Bellocchio ho provato un immotivato senso di disagio. A partire da quella copertina, con una spina di rosa conficcata nel fusto del fiore, a volerlo squarciare, senza vedere il fiore nell’immagine ma solo spine.
Il corpo non dimentica racconta tre anni di buio di memoria di Violetta Bellocchio, dai venticinque ai ventotto, dipendente dall’alcolismo e dal binge drinking (bere in maniera compulsiva fino a perdere conoscenza) con una cruda naturalezza che mi ha messo a disagio, pensando alla difficoltà con cui riuscirei ad essere altrettanto sincera.
Il libro ripercorre i ricordi interrotti, flash di memoria di quel periodo attraverso il percorso disintossicazione, raccontato come un diario di appunti e di esercizi di terapia attraverso cui Violetta è guarita.
Ho recensito (o meglio, raccontato) Il corpo non dimentica su Bigodino ma questa autobiografia offriva troppi spunti interessanti per non realizzare un’intervista all’autrice.
Violetta Bellocchio ha risposto alle mie domande e, senza saperlo, anche al mio senso di disagio, perchè “[…] quando scrivi in prima persona le persone proiettano su di te moltissime delle loro paure individuali”.
Ecco l’intervista a Violetta Bellocchio su Il corpo non dimentica, progetti di scrittura presenti e futuri, autobiografismo e narrazioni fictional.

D: Nel libro il percorso di disintossicazione avviene attraverso una serie di parole chiave, suggerite da una psicoterapeuta (n.d.r. Meredith), su cui elaborare sé stessi e la propria vita. C’è una parola che per te è mancata tra quelle assegnate da Meredith?
R: Se lo chiedi alla Violetta del 2014, è sicuramente mancata la parola “morte”. Immagino che non sarebbe stato un buono strumento per recuperare un ricordo rimosso, e forse non ne sarebbe venuto fuori un capitolo memorabile del libro, ma oggi non posso fare a meno di pensare che sia stata un’omissione rilevante. Del resto, in quella lista mancano anche parole come “poliziesco procedurale” o “soldi”, quindi non è detto che certe lacune andassero colmate per forza.
D: Cosa ti ha spinto a scrivere una storia così personale e dolorosa? Quanto c’è di individuale (presumendo un effetto catartico) e quanto di altruista (ipotizzando un intento evangelico)?
R: A livello individuale, c’era un progetto di saggio non-fiction un po’ più convenzionale – piccole parti sopravvivono nel libro finito; posso solo dire che il libro finito è stato molto migliore come esperienza per me che l’ho scritto, e credo che non ci siamo persi un saggio fondamentale per l’evoluzione del genere.
Per quanto riguarda l’intento evangelico, come (giustamente) lo chiami tu, non faceva parte del progetto: ho parlato e scritto a titolo dichiaratamente personale. Anzi, sentivo l’evangelizzazione come un rischio concreto che poteva danneggiare il libro. Non sono qui per far smettere di bere nessuno, insomma.
D: Ci sono state reazioni dopo l’uscita di Il corpo non dimentica che ti hanno fatto ripensare alla scelta di metterti così a nudo?
R: Non direi, no. Mi ha fatto sorridere che una persona vicinissima a me chiedesse “… non potevi scrivere sotto pseudonimo?”. Sempre meglio di chi chiedeva “ma non hai paura?”, e aggiungeva “no, sai, lo dico per te, ti arriveranno addosso un sacco di cattiverie…”. (Alla faccia della
profezia auto-avverante, eh.)
Ho scoperto che quando scrivi in prima persona le persone proiettano su di te moltissime delle loro paure individuali. Ora tu dirai che ho scoperto l’acqua calda, e avrai ragione, ma è così. 🙂
R: Dipende da cosa mi convincerà di più, a essere onesta: non puoi passare mesi al lavoro su una storia che non senti come urgente per te, o una storia che non sei tu la persona giusta per raccontare. Quando non ti senti a bordo di un progetto al 100%, puoi mentire a te stesso quanto vuoi, puoi cercare tutti i trucchi del mondo per “rendere interessante” quel progetto, ma la tua scarsa convinzione trasforma il lavoro in una patacca, un falso d’autore. E se una storia non interessa alla persona che la scrive, quanto può interessare a chi la legge?
In ogni caso, comunque, devo trovare qualcosa che a me non sembri “Il corpo” capitolo 2, anche detto “il sequel che nessuno ha chiesto”.
D: Il libro è un racconto autobiografico, una storia vera, quanto c’è del tuo progetto di scrittura Abbiamo le prove in “Il corpo non dimentica”, o viceversa?
R: Abbiamo le prove è nato a maggio/giugno dell’anno scorso, ed è andato online a settembre; dopo aver iniziato e finito un memoir, volevo stare dietro a un progetto che mi permettesse di uscire dalla mia testa il più possibile. E volevo vedere cosa avrebbero tirato fuori altre persone dal tema “storia vera”, persone che con me c’entrano poco o nulla, per ragioni di età, di interessi, di lavoro, e così via. Beh, quello che viene fuori è sempre una sorpresa.
Come è successo a me, alla fine.
Grazie infinite a Violetta Bellocchio per la disponibilità di questa intervista e l’involontario senso di disagio provato nella lettura de Il corpo non dimentica.