La realtà spesso offre paradossi che la retorica non conosce. Prendete il caso del murales di Bansky, Slave Labour (Bunting Boy), recentemente asportato dal muro di Londra su cui era dipinto per essere venduto ad un’asta online dalla Fine Arts Auction Miami, casa d’aste specializzata in arte moderna, contemporanea ed urbana.
Il murales era comparso sul muro di un negozio Poundland catena UK di distribuzione al dettaglio di prodotti a 1 €, nell’anno del giubileo Elisabettiano e alla vigilia dei giochi Olimpici. L’intento provocatorio del murales era sembrato la denuncia degli sfarzi e sprechi che Londra affrontava per le celebrazioni dell’anno.
La mia idea è che la collocazione sul muro di Poundland suggerisca una denuncia su più vasta scala, a voler additare l’estremizzazione del consumismo e della globalizzazione per cui bambini dei paesi meno ricchi sono sfruttati per produrre quello che viene venduto in Occidente per pochi spiccioli.
Il murales è a quanto pare ancora invenduto, la protesta degli abitanti del quartiere Wood Green ha coinvolto Scotland Yard ed Fbi che stanno investigando su come sia potuto accadere il maltolto.
Quella di Bansky è arte a tutti gli effetti (c’è una ricca bibliografia che parla di lui), consideriamola arte contemporanea, di strada, urbana ma merita la considerazione di un artista geniale espressione del suo tempo. Il fatto che compia un’azione illegale dipingendo muri pubblici e privati di certo non lo rende un vandalo, diversamente dai debosciati che imbrattano muri e monumenti, al pari di randagi che si appoggiano ai lampioni per segnare il territorio.
Ora, sono convinta che ogni murales abbia una precisa collocazione all’interno della città che deriva da una scelta motivata dell’artista, non solo perchè trova un pezzo di muro vuoto (vedi la vicinanza a mio avviso non casuale con Poundland).
La localizzazione dell’opera d’arte diventa parte dell’opera stessa, chi l’ha sradicata dal muro non solo ha compiuto un atto vandalico ma un reato verso l’opera d’arte, snaturalizzandola e de-contestualizzandola.
Nel paradosso di Slave Boy il vandalo non è l’anonimo Bansky (singolo o collettivo che si celi dietro a quel nome) che dipinge il muro, ma l’anonimo collezionista che lo asporta dal quartiere per venderlo.
Sperando che il murales torni a Wood Green, anche se lo dubito, vi posto alcuni dei murales di Bansky che preferisco, sparsi per la città di Londra e per il mondo.
Un commento Aggiungi il tuo