Arriva, quando proprio non puoi permetterti di fermarti. Al lavoro, prima di un esame all’Università, per un colloquio importante, un appuntamento o una commissione a cui non puoi rinunciare perché se lo fai sai che non ti assolveresti.
Arriva, una strisciante febbre influenzale che ti azzanna una caviglia e piano piano sale fino ad avvolgerti completamente. Se da un lato ti ci vorrebbe un letto con piumone extra large, tre strati di cuscini, la spremuta d’arance della mamma e il termometro sotto l’ascella che ti sussurra “non alzarti, resta qui”, dall’altro c’è l’obbligo di stare in piedi, in maniera più o meno decorosa e portare a termine l’impegno che ti sei preso.
E’ proprio lì, tra quel “non alzarti resta qui” e l’ennesima scossa di brividi che capisci la bellezza della difficoltà. Lì in quelle soglia di dolore lieve ma costante scopro come corpo e mente umana siano sempre migliori di quello che una visione appiattita da “Atlante del corpo umano” ci spinge a pensare.
La fatica ti spinge a preservarti nella tua prossima mossa, a calcolarla bene, a riflettere prima di agire perché sai che non avrai energie per un secondo tentativo. Il dolore ti fa valutare bene ogni movimento perché come per la Sirenetta di Andersen fatta donna, “ad ogni passo le sembrava, come la strega le aveva detto, di camminare su punte taglienti e su coltelli affilati”. Nessuno fuori dalle fiabe vuole camminare su punte taglienti e coltelli affilati una seconda volta.
Che si tratti di un allenamento in palestra o una riunione d’ufficio, fidatevi della vostra febbre, vi farà fare la mossa giusta.