
In questo esperimento di scrittura creativa e radio mi hanno chiesto più volte da dove arriva l’ispirazione per i racconti di Soul Kitchen. Devo dire che sono diversi ingredienti a comporre la ricetta, le suggestioni sono tutte sensoriali ed arrivano alla penna, un po’ dal cibo e un po’ dal naso, perché i sensi come gusto ed olfatto sanno evocare veri e propri mondi nella nostra mente.
Lo ha già detto molto meglio e prima di me Monsieur Marcel Proust descrivendo l’indimenticabile incontro del protagonista con la madeleine al tè nel suo “Alla ricerca del tempo perduto”:
Ma appena la sorsata mescolata alle briciole del pasticcino toccò il mio palato, trasalii, attento al fenomeno straordinario che si svolgeva in me. Un delizioso piacere m’aveva invaso, isolato, senza nozione di causa. E subito, m’aveva reso indifferenti le vicessitudini, inoffensivi i rovesci, illusoria la brevità della vita…non mi sentivo più mediocre, contingente, mortale. Da dove m’era potuta venire quella gioia violenta? Sentivo che era connessa col gusto del tè e della madeleine. Ma lo superava infinitamente, non doveva essere della stessa natura. Da dove veniva? Che senso aveva? Dove fermarla?
Alla continuna ricerca della mia madeleine eccovi il terzo de I racconti di Soul Kitchen, andato in onda il 29 gennaio come sempre alle 21.00 in apertura de L’Ultimo negozio di dischi sulla Terra in diretta su Contattoradio. Alla fine del post trovate il player per ascoltare il racconto e tutta la puntata, fatemi sapere che ne pensate, c’è da commentare sia il racconto che la sua lettura ed interpretazione, insomma, c’è pane per i vostri denti.
Buona lettura e buon ascolto.
La chimica del lievito
“God’s gonna cut you down” Johnny Cash
Save me, save me, I’m naked and I’m far from home…
Luigi ancora per metà nel mondo dei sogni riconobbe un suono famigliare uscire dalla radiosveglia, mentre si stirava nel letto, uno speaker radio dalla voce misurata entrò sulla coda del brano per annunciare le notizie sul traffico locale.
“Erano i Queen con Save me, ed ora passiamo al consueto aggiornamento sulla viabilità…”
Luigi si trascinò in doccia, stropicciandosi gli occhi e sbadigliando ad ogni passo, quasi inciampando sullo stipite della porta del bagno. Il getto dell’acqua bollente lo rianimò a pronta vita, si dice che tutto quello che ci accade in dormiveglia appartenga ancora al mondo dei sogni e Luigi di questa filosofia era il perfetto interprete-sognatore. Una volta pronto per uscire di casa, infilò la giacca, prese la cartella portadocumenti color cuoio e si chiuse la porta alle spalle. L’aria era frizzante, il cielo limpido di una mattina invernale invitava alla camminata che, con ogni tipo di clima atmosferico e stagione, Luigi si imponeva per andare a piedi al lavoro.
Gli piaceva camminare e guardarsi intorno nella sua città, conosceva ogni angolo di quel percorso, ogni foglia che cambiava colore durante le stagioni, ogni vetrina di negozio che cambiava allestimento. Mentre camminava lungo la traversa del corso principale, quella che ogni mattina lo conduceva a destinazione, ad un certo punto, senza sapere perché affrettò il passo in preda ad una inspiegabile sensazione di angoscia.

Un magone lo colse all’improvviso, uno sgomento così profondo lo colpì allo stomaco da costringerlo a fermarsi.
“Mmmmh senti che buono, resterei qui tutto il giorno” e sentendo queste parole Luigi si girò verso la bambina che sottobraccio alla madre si inebriava dell’aroma del pane caldo di fronte alla nuova forneria.
Sentire d’improvviso quel profumo in quel preciso momento della giornata lo riportò molto indietro nel tempo e a distanza di spazio. C’era una boulangerie anche sulla strada verso il laboratorio, quel laboratorio dove parecchi anni prima, appena laureato, aveva trascorso due lunghissimi anni di tirocinio. Adesso gli avevano aperto una panetteria proprio nel tragitto che compiva ogni mattina per andare al lavoro, anche questa come quella dei suoi ricordi, con il forno che dava sulla strada e da cui arrivava il profumo del pane caldo, forte ed inebriante come solo di prima mattina può essere.
Luigi ricordava quegli anni come una tappa feroce del suo percorso di crescita, umana e professionale. Giovane, ingenuo e un po’ spaesato nei confronti di una metropoli cosmopolita per definizione ma nazionalista per indole. “le Spaghettì” lo chiamavano in laboratorio, a voce un po’ più bassa del normale, quel tanto che basta per farsi inavvertitamente sentire ma senza farlo sembrare intenzionale.

Tornato in Italia non aveva mai raccontato troppo sulla sua permanenza all’estero, si era limitato a descrivere quello che gli altri si aspettavano di sentire, il bello che una grande città potesse offrire in fatto di attrattive ma senza mai confessare a nessuno quanto in quei due anni si fosse sentito “nudo e lontano da casa”.
Come il peggior incubo in cui ritrovarsi nudo in mezzo alla folla, una folla ostile, estranea, lontano da casa e dagli affetti, in una realtà a cui senti di non appartenere.
Quel senso di profondo smarrimento che non tutti hanno la fortuna di provare nella vita. Fortuna sì, perché conoscere quell’angoscia fa capire il modo migliore per rivestirsi e tornare a casa. Da lì Luigi aveva capito che la ricerca in laboratorio non faceva per lui, meglio confrontarsi con giovani menti a cui insegnare che la chimica era parte integrante delle nostre vite e non solo delle formule da studiare sui libri.
Superato il momento d’empasse arrivò in classe e ancora un po’ scosso si rivolse agli studenti proponendo un insolito cambiamento di programma.
“Buongiorno ragazzi, aprite il libro al capitolo 8, oggi parliamo…oggi parliamo della chimica del lievito…”