Di fatto non mi faccio mancare occasioni in cui mettermi alla prova, in cui allontanarmi dalla mia comfort zone al punto da chiedermi dove rimanesse tanta è la distanza accumulata. Questa volta a farmi “smarrire la via di casa” è stato un corso di Visual Storytelling alla scuola La Jetée di Firenze. Bene, vi chiederete cos’è il visual storytelling ma prima ancora forse vi chiederete cos’è lo storytelling (a mio avviso tra le parole più abusate degli ultimi anni e spesso usata a sproposito).
Vediamo di fare chiarezza.
Per storytelling si intende una narrazione, il racconto di una storia come pratica che accompagna l’uomo da millenni, fin dalla nascita del linguaggio stesso. Fin qui tutto chiaro direi. Passiamo ora agli impieghi e campi di utilizzo pratici dello storytelling, per arrivare poi a capire meglio cos’è il visual storytelling.
Si può fare storytelling di tipo puramente fittizio, come nella scrittura di racconti, romanzi, sceneggiature per cinema, fiction tv, teatro, web series ecc… Ma lo storytelling può diventare anche di tipo corporate o aziendale ossia raccontare l’identità societaria di un’azienda nei tratti scelti (es. mission, vision, prodotti) attraverso i digital media nel modo più appropriato per ciascun contesto, ad es. post di news sul blog aziendale, posting di foto e video su Facebook, foto e stories su Instagram ecc…)
Veniamo adesso al visual storytelling, la definizione di visual storytelling prende campo durante gli anni ’90 quando i sociologi capiscono l’importanza delle immagini che non sono più semplicemente “belle” da un punto di vista estetico ma funzionali a veicolare un racconto.
Con il visual storytelling si decide di raccontare una storia attraverso fotografie, video o elaborazioni grafiche usando quindi il linguaggio visivo al posto di quello testuale (storytelling scritto) o verbale (storytelling orale). La storia può essere fittizia o meno, ad esempio partendo da fatti e dati reali come lo storytelling data driven ed i documentari interattivi, ossia raccontare attraverso dati e numeri una particolare indagine, report, saggio ecc…
Quindi il visual storytelling è prima di tutto una narrazione, con gli elementi che la compongono (trama, personaggi, eventi ecc…) poi a cascata è una narrazione visiva.
E qui son dolori, perché se a prima vista potrebbe sembrare facile, memori dell’adagio “una foto vale più di mille parole” nella pratica non è proprio così (ma se avete voglia di smentirmi sono più che felice). Ci sono addirittura app per smartphone e piattaforme social che vanno in questa precisa direzione, come la app Steller nata per il racconto visivo per non parlare della Instagram Stories o dei momenti di Facebook (?). Ho provato a curiosare su Steller e devo dire che mi sembra il corrispettivo visivo e visuale di Medium, social media sulla scrittura nato come costola di Twitter (ma magari di Steller ve ne parlo in dettaglio in un prossimo post…)
Comunque tornando al corso di Visual Storytelling e alle conclusioni da tracciare da brava Vergine con la spiccata tendenza ad analizzare anche la curvatura dello smerlo di un francobollo devo dire che Gimme Five, corso di Visual Storytelling mi ha fatto approfondire aspetti del raccontare, visivo e testuale che non conoscevo.
Duane Michals, Things are Queer, 1972
Mi ha fatto conoscere grandi maestri della fotografia e del racconto visivo e mi ha avvicinato ad un mondo che, per snobismo, consideravo il fratello minore (e meno dotato) del linguaggio testuale. Ora se gli amanti della fotografia vogliono insultarmi ne hanno piena facoltà…
Thomas Ruff, Jpeg ny01, 2004
Ed alla fine è arrivata la prova pratica del corso di Visual storytelling, un workshop di fotografia attraverso cui cimentarsi nel racconto visivo.
Ecco il risultato di questo lavoro di visual storytelling che spero possa comunicarvi la narrazione che io ho costruito attraverso questa raccolta di foto di autori vari che ho intitolato “Dove sei?”.
Che ne pensate?
Sarei curiosa di sapere quale narrazione avete letto in queste fotografie. Alla fine abbiamo letto la stessa storia?
P.S. Foto anteprima del post di Eugenia Loli, dalla collezione “Oh, L’amour”.